Scritto da Giuseppe Cilento
La crisi secondo Einstein
“Non possiamo pretendere che le cose cambino, se
continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande
benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La
creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E’
nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera
la crisi supera sé stesso senza essere ‘superato’.
Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e
difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi
che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell’incompetenza.
L’inconveniente delle persone e delle nazioni è la
pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non
ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi
non c’è merito. E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza
crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa
incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece,
lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa,
che è la tragedia di non voler lottare per superarla”.
(da “Il mondo come io lo vedo” di Albert Einstein)
Foto di Ceramica Protogeometrica (VI sec. a. C.).
Il primo cratere da sinistra è di Padula, il secondo è di Palinuro: un
corridoio ecologico tra Diano e Cilento.
Sommario
Premessa
Dagli anni settanta il sistema Italia vede scendere la
crescita, brucia ricchezze con uno stato elefantiaco e accumula il terzo debito
pubblico al mondo. A questo si reagisce, per rendere competitivo il sistema,
applicando nuove tasse, dimezzando i salari e aumentando le ore di lavoro
soprattutto ai giovani, attaccando il welfare, imboccando così la via
dell’impoverimento e della recessione. La moltiplicazione dei centri
decisionali e di spesa ha indebolito il sistema, rendendolo perdente nella
competizione globale. Lo snellimento dello Stato, l’innovazione del
sapere e delle tecnologie, la modernizzazione del pensiero e
dei comportamenti potrebbero offrire uno sbocco positivo alla
crisi. Oppure si può difendere l’esistente e accettare la prospettiva diarretramento .
La modernizzazione del pensiero e dei comportamenti incontra
seri ostacoli in un clima diffuso di cultura antiscientifica e
superficiale.
“La filosofia naturale è scritta in questo grandissimo libro
che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi, io dico l’universo,
ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua e conoscer i
caratteri nei quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica,
e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali
mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un
aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto.” Il Saggiatore (1623), Galileo
Galilei. Così la civiltà occidentale rinvigorisce il suo processo di
modernizzazione.
Einstein nel 1905 insegna che la
materia imprigiona energia (E=mc²).
La meccanica quantistica, con il principio di
indeterminazione di Heisemberg, ha sperimentato che la scienza non può
promettere certezze assolute: se misuri la posizione con esattezza di un
atomo, non riesci ad ottenere misure altrettanto esatte della sua velocità.
Perciò la misurabilità necessaria delle cose si affida al calcolo statistico,
alla fatica dell’esperienza ripetuta, rianalizzata, riconfrontata,
riclassificata. Possiamo provare a spiegarci il senso delle cose, accumulando
gradualmente esperienze, da cui possiamo ricavare teorie più soddisfacenti, ma
non definitive.
La fisica contemporanea mostra che esiste una forte
relazione tra le cose, che non possiamo scomporre il mondo in unità minime
dotate di esistenza indipendente. L’atomo isolato non esiste. Quando si
osservano le particelle, non si vede mai nessuna sostanza statica, ma solo
forme dinamiche, che si trasformano incessantemente l’una nell’altra, in una
continua danza di energia. Il mondo subatomico è conoscibile per via
statistica solo in un fittissimo scambio relazionale. Esiste una
fondamentale unità dell’universo.La scienza moderna propone una
nuova percezione del mondo.
Perciò la scienza moderna non studia più le cose, ma le
relazioni fra le cose.
Dovremmo essere tutti tenuti a maturare una nuova percezione del mondo.
L’esemplarità di un territorio-parco richiede comportamenti ad alta
intensità di conoscenza. Un piano per il parco cerca di comprendere
come le reti interagiscono e creano un sistema, sforzandosi di
individuare i nodi della rete (ad esempio, i “fari culturali”
di De Masi) e ipunti di leva più efficaci per il miglioramento del
sistema.
Anche nel territorio del Parco Nazionale del Cilento occorre
cominciare a giovarsi di un approccio scientifico moderno ai problemi
dell’ambiente e dello sviluppo: una capacità di lavorare in maniera sistemica,
affidata, nelle analisi, ai dati e non alle approssimazioni;
un lavoro complesso, per fissare priorità e valutare risultati,
per fare rete tra costa, interno e sistema metropolitano. Un
piano ha bisogno di numeri sufficientemente certi per l’analisi, di obiettivi
misurabili, fissati nei costi, scadenzati nei tempi. Insomma, il sistema parco
andrebbe compreso più a fondo. E questo non è stato ancora fatto. Di
conseguenza si compiono errori gravi nella gestione dei comparti strategici
dell’agricoltura, del turismo, dei beni culturali e ambientali, dell’edilizia,
della formazione.
Il pensiero sistemico insegna ad essere umili,
ad avere la consapevolezza che se è impossibile sapere tutto di un sistema,
bisogna lavorare a fondo e con metodo per saperne abbastanza, per assicurarsi risultati
prevedibili e misurabili. Invece è stato molto più comodo affidarsi allo
stereotipo infantile dell’intuizione, in base al quale la terra sta ferma e non
gira.
Si sente l’esigenza di rafforzare un processo di
modernizzazione delle analisi e degli stili di vita, insomma delle professionalità del
territorio. Questo processo andrebbe sostenuto da un piano
straordinario di formazione con collaborazioni anche internazionali, che
riguardi il mondo delle professioni, soprattutto i tecnici (per l’agricoltura,
l’edilizia, l’energia, il riciclaggio dei rifiuti) e gli insegnanti (compresi
quelli universitari). Mi sembra utile, perciò, tenere aperta la discussione su
alcuni punti relativi alla pianificazione degli interventi.
Una città, innanzitutto, riflette su che cosa sia essa
stessa e poi progetta che cosa voglia. Insomma una città misura,
quantifica il suo fabbisogno nei settori strategici e
struttura progetti con obiettivi, risorse e tempi.
La “città del Parco”, più volte evocata nel vigente
piano, è una intuizione valida, ma mai pianificata. Una città, anche se fatta
di tanti piccoli insediamenti, ha bisogno ugualmente di quantificare e
tenere conto di flussi demografici, infrastrutture, come:
le reti idriche (per un prelievo equilibrato e
sufficiente) fognarie e depurative,
le reti dell’energia ( la metanizzazione stenta a partire), anche rinnovabile
(almeno il 20% ci chiede l’UE),
le reti dei sottoservizi,
le reti dell’innovazione energetica ( a partire dai regolamenti edilizi
comunali),
le reti informatiche (ADSL),
le reti del riciclaggio dei rifiuti,
le reti della viabilità e dei trasporti,
la rete sanitaria e della medicina alternativa e del benessere,
le reti delle strutture produttive ( le aree PIP intercomunali),
le reti culturali (i fari culturali, i musei, ad es.),
le reti formative,
le reti della sicurezza, ecc…
La rete ecologica, innalzata a vessillo
dell’operazione mediatica, nel piano attuale del Parco non prende corpo, perché
non si intravede un approccio sistemico, impiantatosull’analisi dei corridoi
ecologici (dei flussi di acque, venti, pollini, semi, uomini,
pietre, detriti, strade, energie .….) sulla consistenza e l’interazione
dei patrimoni floricolo, faunistico, urbano. Un corridoio ecologico ti fa
comprendere perché i massi della vetta del Gelbison stanno sul promontorio di
Velia o perché le ceramiche protogeometriche del Vallo di Diano (VI sec. a. C.)
si trovino anche sul promontorio di Palinuro; o perché gli insediamenti del
paleolitico, le fortificazioni veline (III sec. a. C.), le torri angioine e
spagnole spesso siano coincidenti; o quali tragitti percorra la mosca
dell’ulivo e quali i semi dei salici; o come si è storicamente strutturata la
sopravvivenza dei nostri paesi.
La toponomastica antica dell’area invitava a considerare i macrocorridoi
ecologici del Cilento antico ( Monte Stella), delle valli
dell’Alento, del Mingardo, del Bussento, del Calore, degli Alburni, del Diano.
La nostra tragedia si fonda sul nominalismo delle azioni strategiche: si
frantuma il nome del Parco, ora reso ingestibile, in un elenco di
luoghi (53 lettere, con gli spazi 62, mentre Cina è di 4,
BMW di 3, HP di 2 ! ) e non si riflette sulla ricchezza complessa dei suoi
corridoi ecologici. Il pensiero ecosistemico contemporaneo insegna a non
studiare cose, ma la complessità delle relazioni tra le cose e propone soluzioni
fondate su relazioni complesse. Il piano di sviluppo vigente del parco sembra
assumere questa logica, ma subito la smentisce nella pratica in una diarrea
ottocentesca di singoli interventi. Quante volte abbiamo sentito affermare,
secondo una pessima visione riduzionistica della realtà: “Il parco non si
occupa di fognature”! Ma quale è il risultato nel sistema Parco?
La conseguenza di questo modo di pensare: mano libera per
investire su opere inutili o dannose, sulla stravaganza dei boschi “vetusti,
ecc…; lo stesso PIT ( piano integrato territoriale) non integra
affatto la nascita delle aziende in una rete di servizi oltremodo necessari,
tipici delle are PIP.
Il parco ha pagato a un prezzo molto salato le insufficienze
del piano. Senza dati non si sono potute scegliere priorità e
si sono dilapidate risorse pubbliche ingenti. Senza numeri nulla importa che Sacco (-
70 % !!!!!) e tanti altri paesi dell’interno abbiano perso più del 50% della
popolazione dal dopoguerra ad oggi, o che il nucleo dei paesi (Novi, Moio,
Cannalonga, Castelnuovo, Salento, Casalvelino, Ascea) intorno a Vallo della
Lucania cresca e si sviluppi fino a diventare in modo incontrollato una città.
Lo spopolamento dei paesi interni è molto grave,
alcuni sono a rischio di estinzione, per aver toccato quasi il 70% di calo
demografico in 60 anni (Sacco). La popolazione sembra dislocarsi soprattutto
verso la costa. Perciò, in primo luogo vanno stretti gemellaggi tra
comuni costieri e centri interni, che abbiano perso intorno al 50 % della
popolazione (Aquara, Bellosguardo, Campora, Cicerale, Corleto, Felitto,
Laurino, Laurito, Magliano, Monteforte, Orria, Perito, Piaggine, Serramezzana,
Rofrano, Roscigno, Sacco, San Mauro La Bruca, Sant’Angelo a Fasanella, Sessa Cilento,
Stella Cilento, Valle dell’Angelo).
La collina e la montagna rappresentano rispettivamente il 41,6%
e il 35, % del territorio italiano, ma sono
abbandonate a se stesse. Non esiste un progetto serio di riduzione dei costi e
di aggiunta di valore delle attività in questa fascia di territorio, che
rappresenta più dei tre quarti della superficie nazionale ( in Campania collina
e montagna salgono all’85 della superficie totale regionale). L’innovazione
tecnologica non è affatto orientata in questa direzione. I costruttori italiani
di macchine agroindustriali sono leaders nel mondo, verso il quale esportano il
70% del loro fatturato, ma non investono nella collina e nella montagna. Lo
Stato e il mondo della ricerca gestiscono una politica inconcludente.
Pastorizia nelle aree degli incendi controllati, forte
attenzione a tutte le attività presenti e loro modernizzazione, aree PIP,
viabilità ben tenuta e ammodernata, innovazione dei servizi esistenti (
scuole, poste, bancomat, trasporti pubblici…… ), bioedilizia per il
recupero, regolamenti edilizi comunali che incentivino l’energia sostenibile,
paesi albergo, prove dimostrative annuali di meccanizzazione innovativa
delle antiche coltivazioni collinari, linea privilegiata per i
contributi, gli incentivi, i crediti ( in una azione coordinata con le banche),
fari culturali intercomunali, linea ADSL, biblioteche e centri internet
comunali sono solo alcune delle cose che si possono fare da subito,
alcune senza l’impiego di grandi risorse. Soprattutto occorre rifare tetti
e infissi delle vecchie case (oggi in gran parte fredde e inabitabili d’inverno)
nei centri storici, secondo le attuali conoscenze nel campo
dell’innovazione energetica in edilizia e in bioedilizia.
Il ripopolamento passa, tuttavia, pure per una nuova
attenzione ai problemi residenziali degli immigrati (anche
nella redazione dei PUC), in quanto questi partecipano stabilmente e
attivamente alla ripresa delle attività agricole, edili e turistiche in tutte
le nostre realtà.
E per queste realtà, ma anche per tutto il Parco, si
dovrebbe invocare l’applicazione degli artt. 7 e 14 della
legge 394, che rende disponibili fondi aggiuntivi privilegiati.
Per il ripopolamento delle aree interne occorre far
ripartire la pastorizia nelle aree del “fuoco
prescritto”, cioè nelle aree sottoposte ad incendi controllati.
In effetti dalla rivoluzione del neolitico la pastorizia ha utilizzato
l’incendio controllato (fuoco e controfuoco) e in ogni corridoio ecologico
delle nostre zone si sviluppavano le seguenti macroaree: il bosco, le
coltivazioni, il centro urbano, la gariga con il pascolo ( che si
migliorava con l’incendio, che il pastore stesso controllava con il sistema del fuoco
e controfuoco). Il Parco del Cilento ( prof. Assunta Esposito di Unina2,
Prof. Mazzoleni di Unina1) ha sperimentato il fuoco prescritto
invernale (come hanno sempre fatto i pastori) con il contributo di
eccezionali esperti portoghesi , che hanno anche addestrato alcuni nostri
forestali. I dati sperimentali evidenziano, secondo i biologi, un rafforzamento
della biodiversità, una maggiore stabilità idrogeologica dei terreni, oltre ad
una maggiore protezione dagli incendi estivi. Il fuoco “prescritto”
invernale, viene praticato da 150 anni in Francia, impostato scientificamente
in Portogallo, gestito nelle aree parco della Grecia, teorizzato da studiosi
dell’Università di Napoli, a partire dal prof. Vincenzo La Valva, compianto ex
presidente del Parco del Cilento. Ma la cosa va avanti a singhiozzi e sulla
montagna del nostro Comune i pastori incontrano non poche difficoltà a
sviluppare il loro utilissimo lavoro di pulizia del bosco e di produzione di
straordinari formaggi, unici per il sapore salmastro della vegetazione esposta
ai venti marini.
Gli animali e l’uomo hanno dato ai boschi una forma.
Molti boschi, privati della pastorizia, sono divorati dai
rovi, sono soffocati dalle liane e sono a rischio incendio. Intanto le pratiche
di taglio dei cedui ( dal latino caedere = tagliare) diventano , a dir poco,
estenuanti e ripetitive. Bisognerebbe migliorare alcune regole dell’iter
burocratico regionale ed eliminare qualche ente di troppo.
E noi dobbiamo pensare seriamente ad un patto per le
infrastrutture strategiche, a partire da quelle primarie, di cui la zona in
più punti è ancora carente: reti viarie, reti del metano, reti ADSL, reti
idriche e fognarie.
Gli edifici consumano il 40% dell’energia impegnata nell’UE.
Entro il 31 dicembre 2020 (2018 per gli edifici pubblici) tutti gli edifici di
nuova costruzione dovranno essere a“energia quasi zero” , secondo le
direttiva 2010-731/UE.
Cominciamo a conoscere solo ora attraverso i PAES il
fabbisogno energetico delle utenze pubbliche dei comuni e
neanche di tutti. Quale percentuale di energia sostenibile soddisferebbe quel
progetto, come e in quali tempi si potrebbe raggiungere nel Parco almeno il 20%
del fabbisogno complessivo di energia rinnovabile, fissato
come obiettivo dall’UE per tutti gli Stati (nei parchi si dovrebbe andare
oltre)?
Sarebbe facilissimo appurarlo e sarebbe bello fare un piano a cinque anni
dotato di risorse, che non siano necessariamente i contributi, ma anche il
credito bancario, gli investimenti privati.
Il Parco del Cilento ha prodotto da 5 anni un progetto di potenziamento della
retedell’energia alternativa del Parco centrato su
fotovoltaico, eolico, biogas, gas metano. Il progetto è sparito. Ma sarebbe
facile impegnare unitariamente i gruppi consiliari regionali a difendere ( o
migliorare) il progetto presentato 5 anni fa, ora scomparso nei debiti e nelle
nebbie della programmazione regionale.
Intanto i regolamenti edilizi comunali potrebbero
già accogliere la normativa europea, italiana e regionale, e incentivarla in
vario modo, su efficienza energetica della struttura edilizia ( Isolamento
termico delle pareti e dei tetti, serramenti, orientamento delle costruzioni e
schermatura) , efficienza energetica degli impianti, sistemi bioclimatici
passivi, fonti energetiche rinnovabili ( impianti solari termici, impianti
fotovoltaici, impianti geotermici, impianti a biomassa, sistemi integrati di
produzione di energia), bioedilizia, contenimento dei consumi idrici (
risparmio idrico, recupero delle acque meteoriche, utilizzo delle acque
grigie), fitodepurazione, verde nelle aree di pertinenza, albedo, depositi per
i rifiuti differenziati.
E un facile metodo conoscitivo si potrebbe utilizzare per quantificare i KM
delle condotte idriche ( che perdono più del 50% della risorsa) e
fognarie, che sono la priorità assoluta.
I sistemi dei sottoservizi funzionano negli USA da
oltre un secolo. Bisognerebbe in una prima fase arrivare ad accordi
quadro con le società distributrici dell’energia elettrica, della
telefonia, del gas, dell’acqua. Il Parco ha gettato sulle spalle dei cittadini
una pesante contraddizione: da una parte si vieta l’uso dei pali, dall’altra
non si è trovata una soluzione alternativa per energizzare le abitazioni o
collegarle ai sistemi wireless.
Il territorio ha bisogno di due strategie integrate una per
la gestione del Flysch e un’altra per i massicci carbonatici.
Ci sono molte frane, perché c’è molta incuria. L’acqua non
passa sotto i ponti delle strade, ma segue in molti punti del territorio un
principio fondamentale della fisica, il principio di minima azione, cioè usa
il minimo quantitativo di energia che regola il moto dei corpi,
incanalandosi nei solchi da essa stessa scavati, se quelli antichi che portano
ai torrenti sono sbarrati, non manutenuti.
Per evitare una frana si dovrebbero ripulire antichi solchi,
cunette, pozzetti, ponti, alvei di torrenti. Ma non si fa. I cantonieri, la
forestale, i geometri, gli ingegneri, i geologi non guardano a quello che
succede al di sopra della frana. Non penso che servano molti soldi per
risolvere questo problema. E si potrebbero utilizzare gli incentivi
della nuova PAC , oggi follemente elargiti senza richiedere nulla in
cambio all’agricoltore, che incassa il premio e abbandona il terreno.
Sarebbe utile dotare i comuni di qualche buona macchina (un
trattore per sfalciare, trinciare, pulire cunette per manutenere i solchi, le
cunette, le scarpate), ma si finanziano solo concerti e beni cosiddetti
“immateriali” !!!
Senza i numeri di un piano e senza un’analisi di quanto
avviene nel corridoio ecologico della valle dell’Alento è potuto accadere che,
nonostante l’abbondanza delle sorgenti si sia potuta inventare finanche
una emergenza idrica, per giustificare, ad esempio, la potabilizzazione delle
dighe, un consorzio di gestione del potabilizzatore, le condotte duali. Eppure nel
Cilento esiste un miliardo di mc di disponibilità idrica a fronte di 20 milioni
di mc di fabbisogno e abbiamo condotte strategiche con perdite ingenti,
largamente superiori al 50%! Insomma il più imponente fiume di
denaro pubblico della storia del Cilento per irrigare una piana già irrigata,
per trovare espedienti utili a far crescere i costi dell’acqua della diga
( per ultime le condotte duali!!!), tutte operazioni fuori mercato, pur di
tenere in piedi con denaro pubblico un investimento sbagliato. La recente
trovata dell’uso turistico delle dighe finanzia proprio chi contribuisce a
mettere in pericolo il turismo delle spiagge attraverso la
cementificazione e lo sbarramento del fiume, che impedisce il trasporto
terrigeno e genera erosione alla foce.
L’apporto terrigeno si intrappola nelle briglie
della piana del Mingardo, mentre la spiaggia dell’Arco Naturale di Palinuro
sparisce e l’Arco rischia il crollo !!!
Sulle spiagge di Ascea e Casalvelino la terra arretra fino
a circa cinque metri l’anno, essendo privata la costa di apporti
di sedimenti sabbiosi utili a riequilibrare l’azione erosiva del mare. A ciò
poi si risponde con costose barriere di protezione, destinate nel giro di
qualche anno ad essere ingoiate dall’acqua, nel silenzio assordante
dell’ambientalismo. I modelli matematici di nuova
generazione dimostrano quanto sia dannosa l’azione delle barriere
parallele alla costa e degli stessi pennelli. Gli stessi modelli matematici
applicabili nella progettazione dei sistemi antierosione costieri debbono
riguardare anche il territorio a monte degli eventi erosivi, perché la linea di
costa è il punto di equilibrio tra l’azione erosiva del mare e l’azione di
trasporto dei fiumi. Autoreferenzialità e perseveranza nell’errore: un
classico in un sistema perverso. Di questo solo qualche vaghezza nel
cosiddetto piano della rete ecologica. Una mano non deve sapere ciò che fa
l’altra: si pompa meglio denaro pubblico.
Un piano vero per l’agricoltura dovrebbe
essere centrato su azioni tese a integrare le piante produttive nella
natura, puntando su un sistema ecosostenibile ad alta
intensità di conoscenza e ad intensa innovazione tecnologica, sulla riduzione
dei costi e sull’aggiunta di valore ai prodotti.
Un piano agricolo vero per un parco dovrebbe rispettare in agricoltura lo
studio deimicroclimi e dei microambienti, che consentono solo in aree
specifiche del Cilento la coltivazione del fico bianco, che
fruttifica e si conserva in aree meno piovose.
Infatti, la piovosità media varia
dagli 800-900 mm della costa alle pendici del Monte Stella, ai 1000 mm di Ascea
, ai 1400 mm di Vallo della Lucania, ai 1800 mm di Sanza. Durante la fase di
estensione del Piano del parco trovammo che gran parte dell’olivicoltura
storica del parco è esposta tra il Nord e l’Ovest, ad altezze che partono dai
200/3000 mt. La ricerca scientifica avviata dal Parco potrebbe dimostrare che
in questi ambienti le piante di ulivo hanno più marcatori antitumorali.
Ciò impone in olivicoltura operazioni di restauro
ambientale, di reinnesto di cultivars non autoctone
improvvidamente impiantate ( si pensi alla cultivar Leccino, la più attaccata
dalla mosca olearia, messa a dimora proprio nel centro della biodiversità del
Parco !!!), che inquinano l’ambiente allevando parassiti. Senza la conoscenza
delle relazioni della biodiversità si sono impiantati ulivi ( vedi
Licosa) in terreni e microclimi vocati alle coltivazioni dei fichi e viceversa;
l’ignoranza ha condotto ad abbandonare ottime cultivars olivicole (la Salella),
che si difendono meglio dalla mosca e dalla siccità, che producono senza
alternanze, a minor costo e senza pesticidi e sono facilmente raccoglibili e
sembrano presentare negli ambienti autoctoni un ottimo
quantitativo di marcatori antitumorali. La ricerca scientifica
attivata dal Parco in questo campo sta cercando di stabilire quanto gli
ambienti alimentino le qualità salutari delle cultivar e gli esiti sembrano
molto promettenti.
Il recupero delle antiche varietà di alberi da frutto del
Parco ha lo scopo sia di contrastare l’impoverimento della biodiversità
varietale, sia di riprendere e riproporre effetti salutari,
sapori e profumi. Si dovrebbe creare una banca dei semi del Parco,
partendo dall’esperienza messa a frutto tra Sassano e Teggiano da Nicola Di
Novella. Anche l’IMPROSTA (azienda regionale) può assolvere al
ruolo di conservare e ripropagare le migliori cultivars adattatesi
storicamente ai vari microclimi. (Lo ha fatto per qualche migliaio di
piante di Salella, ma può assumere il ruolo di rialimentare la
biodiversitàproduttiva del Parco, visto che in passato produceva 5 milioni
di piantine l’anno e ora più nulla.)
A livello comunale vanno istituiti, con contributo
volontario degli anziani, i campi collezione, centri
didattici di recupero, di raccolta e di moltiplicazione di varietà tradizionali
di piante da frutto, che possono sfociare in campi-vivaio, dove le piante
possono venire moltiplicate e successivamente valutate, anche da un punto di
vista fitosanitario, per un ritorno alla produzione. A San Mauro Cilento
abbiamo innestato con antiche varietà locali i peri, i meli selvatici selvatici
lungo le strade.
Questo comporta il consolidamento delle imprese agricole
singole e associate, ma è tutt’altro rispetto al sistema dei consorzi di carta
che imperversano ( consorzi di valorizzazione DOP, consorzi per il recupero
delle integrazioni UE al reddito, consorzi di commercializzazione, ecc …. ).
Ma qual è la struttura tecnica del Parco
dedicata all’agricoltura biologica e quali figure tecniche si
formano in questa direzione?
E su quali tecnici si può contare per il
compostaggio, che è pratica virtuosa per l’agricoltura biologica e per lo
smaltimento della frazione umida dei rifiuti?
E su quali tecnici si fonda la gestione delle imprese
agrituristiche, visto che l’agricoltura disconnessa dagli sbocchi offerti
dal mercato turistico è impensabile nel nostro Parco?
La stessa dieta mediterranea è diventata
palestra di un esercizio verboso, retorico, inconcludente, soprattutto
antiscientifico, ignorante, mentre si perdono importanti pezzi della
biodiversità. Ma l’unico testo di Keys (“Mangiar bene e star bene” del
1962), pubblicato di recente, parla male dell’olio d’oliva. Keys rettificò la
sua posizione nella riedizione del 1975.
Ma quando si rimettono in circolazione tutte le
pubblicazioni dello scienziato americano, che indaga scientificamente sui
principi nutritivi dell’alimentazione ?
Una possibile proposta di lavoro nasce proprio da una
considerazione di Ancel Keys.
A chi gli chiedeva per quale motivo lui fosse rimasto nel Cilento, lui
rispondeva che voleva vivere dieci anni di più, perché qui si ritrovavano “l’orto (
anche con gli ulivi e gli alberi da frutto), il pane fatto in casa, il
pesce azzurro”. Queste considerazioni potrebbero entrare
nella pianificazione urbanistica dei comuni e del Parco, con tutti i problemi
connessi ( aree per gli orti adiacenti alle case dei centri storici, recupero
dell’acqua piovana e riattazione delle antiche cisterne, risemina dei cereali e
dei legumi antichi, presenza dei forni in o presso le case, politica della
pesca …….). Vuoi vedere che offrire orti salutaripuò servire a ad
allungare la vita e a incrementare il turismo, perché questa è un’offerta che
fa la differenza?
In tutti i casi va rivolta la massima attenzione agli
aspetti scientifici, creando un centro studi vero ( cioè dotato di
libri, riviste, audiovisivi, collegamenti a internet)per la raccolta e
la diffusione dei lavori pubblicati sul tema.
E poi la stessa azione educativa sulle scuole, semplice e
non costosa, come mai non parte, creando una interrelazione salutistica
virtuosa con i nutrizionisti del settore sanitario ?
La Provincia di Salerno nel passato (fino al 2005 nelle
aree contigue!) ha immesso nel territorio del Parco Nazionale del Cilento i
cinghiali ungheresi, perché più prolifici (13 cuccioli l’anno) e perciò
più adatti alla caccia. E’ ben altra cosa il cinghiale appenninico, già presente
in zona e assolutamente meno prolifico.
Lo Stato ha, quindi, da una parte favorito la crescita
del numero dei cinghiali per la caccia e dall’altra ha deliberato con legge
apposita che sul nostro territorio non si potesse cacciare !
Una evidentissima contraddizione, che lo Stato deve
sanare!
La prolificità dei cinghiali ungheresi, se calcolata
in base alla rozzezza di un calcolo esponenziale, la cui formula è la
seguente: , porta a esiti inquietanti. Il numero
dei cinghiali calcolato in assenza di mortalità e malattie aumenta in modo
esponenziale. Se noi assumiamo, dunque, che ogni coppia genera mediamente 8
cuccioli l’anno ( si dice anche 13 per la razza ungherese), i
cinghiali di una sola coppia diventano nel calcolo esponenziale dopo 5 anni
237, dopo dieci anni 8886 !
In questo momento, inoltre, lo Stato spende circa un milione
di Euro per i danni (e i costi degli accertamenti valgono quasi più del danno)!
Si dovrebbe richiedere, pertanto, al Ministero dell’Ambiente
e al Parlamento, di ampliare il numero dei selettori in ogni comune (
fino a 30) ed estendere il periodo dell’intervento settivo nelle
zone agricole del Parco (dai 30 ai 60 gg anno),essendo diventato
insostenibile il danno all’agricoltura e alle casse dello Stato.
Ma altrettanta attenzione andrebbe rivolta a quello che sta
succedendo nell’avifauna. E’ sotto i nostri occhi l’incremento delle gazze e
dei rapaci e (forse) il decremento dei serpenti e delle altre specie di
uccelli. Il fenomeno andrebbe meglio compreso.
La presenza di adeguati sistemi di smaltimento fognario può
garantire un ottimo sviluppo delle praterie di Posidonia, che proteggono
dall’erosione costiera e garantiscono un habitat migliore alla fauna marina
(vedi presenza della tartaruga Caretta Caretta sulla spiaggia di Acciaroli-Mezzatorre,
nelle cui acqua si estende un giacimento di Posidonia in ottima salute).
Dal 1905 Einstein ci ha insegnato che la materia imprigiona
energia; perciò non esistono i rifiuti.
I rifiuti sono utili per il circolo produttivo e sono da considerarsi una
ricchezza. Persino lo scrittore tedesco Goethe così
scriveva nel suo “Viaggio In Italia”, aNapoli, il 27 Maggio 1787:
“(A Napoli) Moltissimi sono coloro – parte di
mezza età, parte ancora ragazzi e per lo più vestiti poveramente – che trovano
lavoro trasportando le immondizie fuori città a dorso d’asino.
Tutta la campagna che circonda Napoli è un solo
giardino d’ortaggi, ed è un godimento vedere le quantità incredibili
di legumi che affluiscono nei giorni di mercato, e come gli uomini si diano da
fare a riportare subito nei campi l’eccedenza respinta
dai cuochi, accelerando in tal modo il circolo produttivo.
Lo spettacoloso consumo di verdura fa sì che gran
parte dei rifiuti cittadini consista di torsoli e foglie di
cavolfiori, broccoli, carciofi, verze, insalate e aglio, esono
rifiuti straordinariamente ricercati.
I due grossi canestri flessibili che gli asini portano
appesi al dorso vengono non solo inzeppati fino all’orlo, ma su ciascuno d’essi
viene eretto con perizia un cumulo imponente. Nessun orto può fare a meno
dell’asino. Per tutto il giorno un servo, un garzone, a volte il padrone stesso
vanno e vengono senza tregua dalla città, che ad ogni ora costituisce una
miniera preziosa.
E con quanta cura raccattano lo sterco di cavalli
e di muli! A malincuore abbandonano le strade quando si fa buio, e i ricchi
che a mezzanotte escono dall’Opera certo non pensano che già prima dello
spuntar dell’alba qualcuno si metterà a inseguire diligentemente le tracce dei
loro cavalli.”
Quello che noi consideriamo rifiuto può essere trasformato
in energia. Nella nostra cultura millenaria l’umido ha fornito energia
agli orti e alle piante in campagna e può continuare a farlo con degli
incentivi sulle bollette della TARSU ( o TARI ?).
Le nuove tecnologie di estrazione dell’olio consentono
di ottenere un prodotto con più antiossidanti e dei reflui adattissimi alla
produzione di cibi con molti antiossidanti, alla alimentazione animale, alla
coltivazione, alla produzione di energia sia negli impianti di biogas che nelle
caldaie private (nocciolino e sanse essiccate).
Sugli impianti di trattamento dei rifiuti si
è spesso sviluppata una riflessione ideologica. Si tratta di macchine, non
tutte uguali, diverse nei costi e nei risultati. Per averci a che fare bisogna
capire di motori, di costi energetici, di layout, di biossidazione, di
pretrattamento …… E’ difficile fare una buona valutazione e una efficiente
gestione di tali impianti, se non si formano dei tecnici altrove.
L’urbanistica ecosostenibile di un Parco si
prende cura innanzitutto del comeriqualificare, poi del come
costruire il nuovo, infine del dove costruire in
funzione di un processo di crescita vera. Noi oggi assistiamo a un paradosso:
si attiva più risparmio energetico fuori del Parco che dentro i suoi confini
per una scarsa consapevolezza dei nuovi sviluppi scientifici nei campi
dell’energia e dei materiali. I nostri professionisti andrebbero messi
costantemente in contatto con la grande cultura contemporanea dell’energia e
dell’ambiente. Si tratta di formazione. Ma quante commissioni ambientali
comunali tengono conto del sistema Ecolabel per le strutture turistiche,
sostenuto dall’UE, o delle normative europee, nazionali e regionali, in
continua evoluzione, sull’approvvigionamento energetico degli edifici ? E in
quanti comuni del Parco ci sono regolamenti edilizi improntati sull’innovazione
energetica e ambientale ?
Per la semplificazione si dovrebbe, nell’ambito del Parco,
generare un regolamento edilizio comunale di base, che
offra la possibilità di affidare ai soli comuni i permessi per
le piccole trasformazioni, che non riguardino grandi unità di paesaggio.
Un piano socioeconomico può generare nell’immediato per
l’edilizia anche delle linee guida molto
schematiche e semplici per le commissioni ambientali comunali, se si assegna un
valore economico collettivo alla bellezza delle tipologie
edilizie ( tra l’altro semplici e limitate) e dei paesaggi. Queste linee guida
avrebbero potuto essere utili non solo ai tecnici, ma anche ai falegnami, ai
fabbri o ai muratori, ai costruttori, alle loro aziende integrate in processo
di crescita ecocompatibile e solido.
Sarebbe opportuno far crescere una cultura più profonda sul comportamento
deimateriali locali, come il legno o le pietre (che
variano a seconda della loro appartenenza a massicci Flyschoidi o
carbonatici e che andrebbero conservate se provengono da lavori pubblici
o privati, visto che le cave sono proibite nel territorio di un parco). In
questo momento si sta riscoprendo un materiale straordinario, molto usato nei
centri storici e nelle costruzioni agricole, la terra cruda,
soprattutto il caolino o la terra di orto.
Un piano affronta il problema del restauro
urbanistico-ambientale, che sulla costa si configura in non meno di un
milione di metri quadrati di abusivismo edilizio da condonare, peraltro
mai quantificato dalla pianificazione del Parco. Occorre produrreun piano
per la bellezza del Parco, riqualificando milioni di mc di
edifici moderni da condonare o semplicemente da migliorare in qualità
funzionale, estetica, energetica.
Come restaurare, con quali materiali, secondo quale metodo, per
riprodurre quali forme, quali colori? Lo stesso sistema dei colori,
infatti, è di non semplice configurazione.
Su tutto questo non si discute, non si produce cultura ed
insieme alla cultura non si produce economia, che significa in primo luogo lo
sviluppo di moderne imprese artigiane connesse ai
bisogni del territorio e al nuovo che si afferma nei settori della
comunicazione, del risparmio energetico, …. . Insomma, si tratta di stabilire
se si vuole guadagnare più soldi dalla bellezza e dal risparmio energetico o se
si vuole costruire di più, producendo, come è ben noto, la riduzione del valore
del territorio. Esattamente il contrario della logica del profitto, come è
stato dimostrato a Scalea, dove un appartamento vale 20.000 Euro.
Se si applica la logica dei numeri nel rapporto seconde
case-popolazione, si trova che il paese in cui si è costruito di più sulla
costa è Montecorice, fino a un decennio fa.
Un piano per il Parco del Cilento affronta come nodo
prioritario quello dellariqualificazione del tessuto urbano
dei centri storici, quantificando le cubature esistenti e le
risorse occorrenti per un piano quinquennale di risanamento, magari
finalizzato alla creazione di paesi-albergo.
Le zone D non sono sfruttate nelle loro buone
potenzialità edificabili per la mancanza di PUC; e intanto si continua a
discutere su come ampliarle, perché preme sul Parco un coacervo di interessi
disordinato, demagogico e talvolta poco chiaro. Soprattutto si è ingenerata nei
cittadini la falsa opinione secondo la quale si potrebbe costruire dappertutto
e che ciò non sarebbe regolato già da decine di altri vincoli, tra cui i piani
paesistici e dalle stesse norme urbanistiche nazionali, regionali e
provinciali, che non consentono la costruzione di case o “casieddi” in area
agricola ogni mezzo ettaro. Ciò offrirebbe la possibilità di costruire nel
Parco 200.000 nuovi “casieddi”, impallinando in maniera pazzesca il territorio
di case senza infrastrutture (nella merda), che possono ospitare teoricamente
un milione di persone. Una Casal di Principe all’ennesima potenza! E le
posizioni più irresponsabili non riflettono sulle infiltrazioni
camorristiche per il riciclaggio di denaro sporco, visto che in
questa fase si muovono soprattutto capitali di origine non chiara.
L’edilizia è importantissima ed ha un campo infinito di
azione nel recupero dei centri storici, nell’adeguamento energetico, nelle zone
PIP e PEEP che mancano, nelle infrastrutture, che mancano ancora di più, nel
restauro ambientale e idrogeologico. E qui il Parco può facilitare in vario
modo l’accesso al credito ( sinergie con gli incentivi statali, tipo il 65%),
oltre che progettare interventi che diano la possibilità di acquisire
contributi. Ma prima di tutto deve formare i tecnici e deve avere dei dati (sui
metri cubi dei centri storici, ad esempio), per comprendere l’entità del lavoro
da compiere e da distribuire nel tempo per un buon piano triennale o quinquennale.
La sentieristica, se strutturata per corridoi
ecologici, potrebbe raccontare di più in termini di comprensione del
territorio. In un corridoio ecologico diventa riconoscibile la storia
dell’integrazione tra le aree coltivate e i centri urbani, tra la vegetazione
spontanea della foresta, della macchia, della gariga (area
destinata al pascolo e, quindi, anche ad essere incendiata, dal neolitico
in poi).
Ma per la sentieristica è veramente necessario dilapidare i fondi
PIRAP, visto che di soldi non se ne vedono più? E perché questi non si
utilizzano per arricchire un piano energetico, che renderebbe più
competitivo il territorio, magari integrando i finanziamenti per la
metanizzazione, che stenta a partire ? Ma intanto i comuni stentano a mantenere
puliti i sentieri funzionanti. E perché non intensificare la meccanizzazioneper
la pulizia di sentieri, delle strade di campagna e degli antichi solchi di
scolo delle acque con la concessione di qualche contributo o di qualche forma
di credito pluriennale ai comuni ? Esistono delle ottime macchine
polifunzionali portaattrezzi sul mercato, che offrono soluzioni alla pulizia
dei solchi, dei vari tipi di cunette, delle scarpate, ……….
Mi è capitato inoltre, di apprendere che i sentieri di San
Mauro Cilento, da anni adeguatamente mappati, pubblicati sul sito del Comune,
segnalati, puliti e frequentati dai turisti, non possano far parte dei
sentieri pubblicizzati dal Parco. Ci vuole molta pazienza …..
Il Parco possiede alcuni straordinari primati
artistico-ambientali:
- a Paestum, i templi meglio conservati al mondo e la pittura greco-italica più antica;
- a Velia un patrimonio urbanistico greco-ionico unico nella Magna Graecia, dove si sono poste le basi del pensiero filosofico-scientifico europeo antico e moderno;
- ad Acciaroli, le acque più pulite d’Italia;
- a Camerota e Castellabate le aree marine protette, che rendono il nostro Parco il più grande d’Italia;
- a Pioppi, il luogo di gestazione del pensiero scientifico sulla dieta mediterranea, patrimonio mondiale dell’UNESCO;
- sul Cervati, la seconda vetta più alta della Campania, con relitti del periodo glaciale quali la betulla o con oltre 250 specie di orchidee;
- a Padula, la Certosa più grande e spettacolare d’Italia e forse d’Europa;
- a Camerota-Scario e Castelcivita, il paleolitico tra i più importanti d’Europa, a cui il Comune di Camerota ha finalmente dedicato un centro visite;
- a Corleto Monforte, il Museo Naturalistico Ornitologico tra più importanti d’Italia;
- a Teggiano-Sassano, le raccolte uniche al mondo dei semi e delle piante della biodiversità del Parco;
- a Novi Velia, pitture di riferimento del trecento ancora gotico-federiciano, del Rinascimento meridionale (cultura pittorica quattrocentesca del centro Italia o dell’ambito cinquecentesco degli allievi di Raffaello);
- a Vallo della Lucania, il Museo Diocesano che ha compiuto un notevole sforzo di restauro e di sintesi delle opere d’arte della Diocesi cilentana, ospitando, inoltre, mostre straordinarie;
- a Pattano, la Badia con gli affreschi di cultura bizantina meglio conservati d’Italia del X-XI secolo d. C.;
- a Palinuro, endemismi come la Primula Palinuri, relitto della glaciazione, come le betulle del Cervati o l’abete bianco degli Alburni ( che si ritrova nei resti combusti delle grotte del Musteriano di Castelcivita);
- a Caselle in Pittari-Morigerati, il più lungo corridoio carsico d’Europa, in cui scompare il corso del Bussento;
- a Castelcivita, Pertosa, sulla vetta del Cervati, a Vesalo fenomeni carsici straordinari;
- forse anche la lontra, se si costruisce qualche altra fognatura insieme ai depuratori;
- presidi Slow Food della soppressata di Gioi, del carciofo bianco di Pertosa, delle olive di Salella Ammaccate, dei fagioli di Controne, dei ceci di Cicerale, delle alici di menaica, del cacioricotta di capra (del fico bianco in gestazione) ;
- due parchi marini di Camerota e Castellabate
- a Felitto, Morigerati, Pollica vivono Oasi di importante rilievo naturalistico.
Si è articolato sul territorio un fitto patrimonio di musei,
che aspettano una gestione in rete o almeno un elenco della loro esistenza,
corredato di orari di apertura: il Museo Paleontologico di Magliano,
i musei della civiltà contadina di Morigerati, di Moio
della Civitella, di Ortodonico, di Vatolla, di Teggiano, Roscigno;
il Museo del Libro Antico di S. Mauro Cilento; il Museo Botanico
all’aria aperta di Sassano; il Museo del Mare di Pioppi;
i Musei Archeologici di Roccagloriosa e di Laurino;
l’antiquarium di Palinuro; l’antiquarium di S. Maria di
Castellabate (archeologia subacquea); l’ecomuseo di Valle di
Sessa Cilento dove vive, inoltre, il Centro Recupero e
Riabilitazione Uccelli Rapaci del Cilento.
A Massicelle si afferma l’esperienza del Museo
del Giocattolo Povero. Invece nella scuola elementare di Matonti,
abbandonata in seguito al calo demografico, era nato, ma non
sopravvissuto il Museo di Storia Naturale del Cilento. Ma le sue propaggini si
sono andate a consolidare nel Centro di Storia Naturale del Cilento di
Vallo della Lucania, con una specializzazione erboristica.
Di grande interesse sono alcuni palazzi baronali con le loro
antiche biblioteche ( Palazzo Vargas a Vatolla, Palazzo Mazziotti a
Celso, Palazzo Materazzi a Serramezzana ……) non tutti visitabili.
Per tutto questo ben di Dio non esiste una informazione
soddisfacente (orari di apertura, numeri di telefono, guide …..) o non esiste
affatto una informazione.
E poi l’ecoturismo possibile delle vette del Cilento:
la cima del Cervati, la più alta del Cilento (1.898 m, cede il
primato in Campania solo alla Gallinola, 1923 m, del Gruppo del Matese),
seguita dalla Cima di Mercori alta 1789 m, dal Massiccio del Motola
(1743 m), dal Panormo (cima
più alta del gruppo degli Alburni, 1.742 m),
dal vicino Faiatella (1.710 m),
dal Gelbison (1.705 m),
dalla Raia
del Pedale (1.521 m), dalla Raialunga (1.405 m),
dal Cariusi (1.400 m),
dal Cerasuolo(1.400 m),
dal Gerniero (1.246 m),
dal Bulgheria (1225 m), dal Monte Stella (1 131 m).
E ancora le spettacolari sorgenti e i corsi dei
fiumi: il Calore, il Sammaro, l’Alento, il Mingardo, il Bussento.
Se a questo si aggiunge il vantaggio di poter offrire
insieme spiagge bellissime, colline coltivate e ricche di centri storici,
boschi montani e praterie di vetta straordinari, la forza attrattiva verso la
città di questo pacchetto risulta sulla carta vincente.
Tuttavia tutti questi sforzi generosi non riescono a fare
rete, non sono governati da una visione sistemica, non beneficiano delle
professionalità necessarie, non godono dell’individuazione di mercati
obiettivo, per cui in più di qualche caso si è cominciato ad annaspare, a
raffreddare entusiasmi, ad andare in crisi. Il Parco non riesce ad affrancarsi
dal peso della frammentazione territoriale e dai problemi connessi alla mancata
formazione di una classe dirigente locale, capace di riconoscere e confrontarsi
con risorse, mercati e riforme in maniera complessiva, ecocompatibile e
socioeconomicamente vantaggiosa.
Sarebbe bello che il Parco offrisse ai sindaci
della comunità delle visite guidate di questo grande patrimonio,
offrendo la possibilità di socializzare e approfondire scientificamente.
Un piano non fa analisi banali, ma riflette sulla qualità
delle strutture turistiche (ilprodotto), ne analizza i prezzi,
le classifica e individua il loro mercato-obiettivo, sceglie i canali
di vendita, indirizzando investimenti promozionali verso i segmenti
più profittevoli, introducendo strumenti di misura dei risultati. Invece si
è fatta spessoconfusione tra marketing e promozione (che è il
quarto momento del marketing).
Per i mercati-obiettivo del turismo e
dell’agricoltura il Parco è partito troppo spesso da lontano, dalla
Finlandia o dal Brasile, ignorando che il turismo dei parchi è innanzitutto di
prossimità, cioè rivolto prima alle città campane , per poi proiettarsi
gradualmente verso il centro-nord italiano ed europeo. L’idea di parco è
urbana.
Ma soprattutto si potrebbe cominciare a tenere conto che la
catena degli hotel Hilton ricava da internet oltre
l’80% del suo fatturato !
Il Piano del Parco contiene una utile indicazione sulla viabilità nell’area
interna ( la Vallo della Lucania-Campagna), di cui è stato finanziato lo studio
di fattibilità, ma è scomparsa nel vortice della crisi. Ma il Parco ha bisogno
di essere pensato in rete, in relazione con le città e i loro assi di
comunicazione strategici. Attualmente il week-end nel Parco dei Napoletani si
accorcia alla prima mattinata della domenica per gravi problemi di traffico nel
rientro nel tratto Agropoli-Battipaglia-, con enorme danno alla ristorazione
locale. Occorre una viabilità veloce nel tratto Eboli-Agropoli (già
esiste il tracciato per Albanella ed è prevista una superstrada anche nel piano
strategico della città di Salerno), di facile realizzazione, di costo
accessibile, di nessun impatto ambientale, che relazioni in maniera rapida gli
aeroporti, la linea dell’alta velocità al turismo costiero e interno. E
sicuramente, nei week-end soprattutto, va ripensato il sistema di collegamento
alla rete ferroviaria con opportuni incentivi alle navette e con un
miglioramento dei servizi dei treni.
In questi ultimi anni è nata una rete eccellente di agriturismi
e B&B. Ma il turismo cilentano è in gran parte fondato sulla presenza
di seconde case, cioè sulla fascia di mercato più povera, che non genera una
classe dirigente imprenditoriale moderna tipica del turismo alberghiero. Qui il
nostro limite più grave. Per questo necessita migliorare il sistema ricettivo,
infrastrutturale, formativo, normativo, comunicativo. Oggi si possono
occupare di turismo una pletora di enti: i comuni, (una volta anche le comunità
montane), le Unioni dei Comuni, il Parco, l’EPT, la CCIAA, la Provincia, la
Regione, I GAL, la Aziende di Soggiorno e Turismo. Ma è ancora peggio se le
organizzazioni degli albergatori cercano di fondare anche un distretto
turistico cilentano basato solo sulla costa, come hanno deliberato e
che anche per la mia ferma opposizione non è mai nato.
Un Parco potrebbe promuovere l’ecosostenibilità delle
strutture ricettive, il ruolo dei centri visita, dei centri di educazione
ambientale, delle aree faunistiche, degli orti botanici, dei sentieri
attrezzati, dei percorsi escursionistici, didattici, dei sentieri vita, degli
itinerari di cicloerscursionismo, delle aree di sosta attrezzate.
Una seria programmazione turistica per un Parco
ospitale si potrebbe preoccupare:
- Informazione turistica e servizi,
- Ambiente e atmosfera,
- Ricettività e ristorazione,
- Trasporti pubblici e privati, parcheggi, itinerari,
- Attrazioni locali,
- Eventi e loro coordinamento
- Sicurezza e qualità della vita.
Un piano punta almeno su un paio di interventi turistici
ecocompatibili di rilievo internazionale, che consentano di
approcciare i mercati più facilmente, producendo indotto sul territorio a costo
zero. Quale senso ha tenere in piedi o partecipare a fiere per l’agriturismo,
se non circola un elenco delle strutture della zona e non si individua
a chi siano rivolte simili azioni promozionali?
Un piano per il turismo archeologico tiene
conto delle attuali presenze annue nei grandi attrattori culturali di Paestum (
circa 240.000 visitatori nel 2013, con un aumento di circa 21.000 dal 2012) o
di Velia ( circa 33.000) e cerca di individuare il loro target (innanzitutto le
scuole), per elevare ogni anno almeno del 10% il numero dei visitatori, che
possono essere spalmati sul territorio. Interessante il dato di Pertosa, che
annovera circa 90.000 visite annue.
Si potrebbe avviare, ad esempio, a Velia un grande
laboratorio per una città della scienza antica e
moderna, destinata soprattutto ai giovani, all’interno di un progetto di
ricomposizione del sapere, incarnatosi storicamente nel pensiero
pitagorico-parmenideo. Ma ci si è chiesto quale risultato profondo sulla cultura
nazionale potrebbe avere il rimettere in relazione la matematica con
la filosofia, la musica, la fisica, la medicina, la botanica, la natura in un
progetto didattico per Velia? Ma non stabilivano queste relazioni già i
pitagorici, di cui Parmenide era allievo?
Un piano si occupa in maniera non astratta del sistema della formazione
dei quadri, delle nuove professionalità per l’ecoturismo,
per la bioagricoltura (per la potatura della piante), per la protezione
e valorizzazione dei beni culturali e ambientali nel parco, per l’ingegneria
naturalistica, per le nuove tecnologie informatiche, per il risparmio
energetico e l’uso delle energie alternative, per riutilizzo energetico dei
rifiuti, per l’educazione ambientale …..
E ogni scuola del Parco potrebbe essere dotata di un orto
didattico consapevole, per insegnare la vita dall’asilo alle
superiori, come il nuovo pensiero ecologico raccomanda. I ragazzi partecipano
al ciclo vitale di un organismo di nascita, crescita,
maturazione, declino, morte, e poi della nuova crescita della generazione
successiva…
Nell’orto si apprende per esperienza diretta che la terra fertile non
è materia inerte, ma un organismo vivo, che contiene a sua volta
miliardi di esseri viventi; che questi organismi elaborano i
cosiddetti rifiuti, trasformandoli in sostanze nutritive .
Inoltre, le scuole italiane (come le Finlandesi, prime al mondo nei tests OCSE)
dovrebbero incoraggiare la manualità, attraverso l’uso diffuso
di laboratori (musica, cucina, ceramica, falegnameria, stampa,
elettromeccanica, …… ). Gli stessi edifici scolastici diventano un
campo didattico- dimostrativo delle energie rinnovabili e del risparmio
energetico per gli alunni e i genitori..
Un piano riflette sul numero degli studenti e degli
insegnanti dei vari ordini di scuola, sulle scuole esistenti, sull’università,
per coinvolgerle in un processo di miglioramento e di coerenza con lo sviluppo
progettato, per attivare investimenti e collegamenti ( la scuola di Losanna
proposta da De Masi, l’Istituto di Enologia di Conegliano, ad es.).
Il Parco ha bisogno di un ufficio scuole efficiente,
per diffondere cultura ambientale verso gli istituti locali, per rilanciare la
promozione sul territorio regionale e nazionale. E questo si può ottenere
anche sfruttando contributi di volontari disponibili nel territorio e dotati di
grande professionalità.
Dunque, un impianto della formazione da rivoltare come un
calzino. Invece si assiste alla sclerosi del tessuto formativo esistente, che
nega agli studenti pendolari ( almeno l’85%) finanche le ultime precarie
innovazioni ministeriali dei corsi pomeridiani, perché il sistema dei
trasporti del Cilento dura solo nelle ore antimeridiane: una inciviltà da
cancellare, una scuola di classe che esclude e non
promuove gli alunni delle famiglie più bisognose e dei paesi più lontani dagli
istituti scolastici.
Dopo la morte di Angelo Vassallo si era fatta strada l’idea
di un piano del Parco sullasicurezza, che rimane tutto da
affrontare, in particolare nell’area dei tre porti di Acciaroli, Agnone e San
Marco di Castellabate. L’assenza di presidi ha sicuramente contribuito alla
morte di Angelo, che è morto nella solitudine generata dalla nostra
incomprensione dei problemi e dal nostro egoismo. E nulla di concreto si fa per
migliorare strutturalmente la situazione, perché il nucleo interno delle
caserme rimane collocato intorno all’asse viario Capaccio- Vallo della Lucania
e al nodo viario della vecchia Statale 18, che oggi non viene quasi più
percorsa. Si potrebbe trarre ulteriore beneficio da un coordinamento stretto
dei comandi delle forze dell’ordine presenti nel Cilento, in attesa di una
riforma generale del settore.
La struttura burocratico amministrativa del Parco si
dovrebbe giovare di una articolazione per settori strategici sui quali si
punta, senza trascurare mai le interrelazioni:
- equilibrio idrogeologico, biodiversità, bioagricoltura;
- risparmio energetico e bioedilizia;
- faunistica;
- scuola, beni culturali e ambientali;
- turismo ed ecoturismo
- aree marittime.
La stessa comunità del Parco si potrebbe
suddividere per commissioni negli stessi comparti e sviluppare un lavoro
propositivo. E credo che gli stessi comuni del Parco abbiano
materia per riflettere sulle loro classiche ripartizioni organizzative alla
luce del bisogno di una nuova percezione del territorio e di un governo più
consapevole dei suoi processi.
Si può, inoltre, accorpare al Parco comunità montane,
forestale, autorità di bacino, gli stessi distretti turistici, che
si stanno erroneamente creando solo sulla costa, altro carrozzone completamente
inutile, perché si occupano del settore i comuni, le unioni dei comuni, le
comunità montane, i GAL, il parco, l’EPT, la Provincia, la Camera di Commercio,
la Regione, le aziende di soggiorno e ora anche il distretto; e siamo a
undici!!!!!!!! E ben quattro di questi enti possono imporre
tasse: i comuni, le unioni dei comuni, le comunità montane, la
provincia ( gli ultimi due in fase di smantellamento prolungato ).
Si può coordinare con il Parco l’attività della
Soprintendenza.
La politica farebbe bene a inquadrare l’esigenza di una riforma
dello Stato, in cui il Parco assorba e risani la confusione e la
disintegrazione delle istituzioni; una fognatura oggi deve essere approvata dal
comune e autorizzata:
- dall’ATO,
- dall’autorità di bacino,
- dalla comunità montana,
- dalla forestale,
- dall’ASL,
- dalla soprintendenza BAAS,
- dal parco,
- dal genio civile.
Solone, un grande legislatore del mondo antico, denominò la
sua azione riformatriceseisachteia, cioè scuotimento dei pesi:
possibile che non si pensi all’alleggerimento (economico e burocratico) di
questo sistema? Esistono una trentina di territoriali tutti a bacino diverso.
L’Assessorato Regionale all’Agricoltura ne ha sfornato più di tutti ( ambiti
PIR, POR, PIT, PIA, CEZICA, Consorzi Bonifica, ecc…… ; di recente Distretti
Agricoli, Biodistretto Cilento, STS e altro ancora).
Un prodotto tipico DOP del Parco subisce i
seguenti controlli nel processo di produzione:
- comune
- consorzio di tutela,
- ISMECERT,
- ASL,
- ARPAC,
- Guardia costiera,
- nucleo apposito della Forestale del MIPAF ,
- Guardia Forestale regionale,
- Carabinieri,
- Guardia di Finanza,
- Ispettorato del Lavoro
- NAS,
- NOE,
- Repressione Frodi,
- Regione, per la tracciabilità,
- Parco, per il marchio d’area,
- GDO (a cui non importa nulla di tutte le carte degli altri enti e impianta un ulteriore sistema di controllo).
A questi bisogna aggiungere tutti gli altri procedimenti di
certificazione e controllo previsti dall’Unione Europea ( ISO 9000, ecc…..) !!!
Attualmente per le certificazioni la Coop Nuovo Cilento si sottopone
(oltre ad ISMECERT) a questi ulteriori controlli di qualità diICEA, SIAN,
CSQA, ognuna con le sue procedure e i suoi costi. Mediamente una visita
di controllo ogni 20 giorni !!! Ed è stata una fatica pazzesca unificare a
livello informatico le procedure in gran parte simili di Bio, DOP e
tracciabilità, che le leggi tengono separate anche negli aspetti procedurali
simili. E la nuova legge sull’olio promette altre forme di controllo. Ma come
mai non bastano quelle in vigore? Perché diventano altrettante grida
manzoniane?
Eppure la qualità Italia prende vita
dagli ambienti straordinari dell’Appennino italiano, dagli
innumerevoli e specifici microclimi, in cui è più facile produrre biologico e
qualità DOC, soprattutto dai 300 mt in su.
L’obiettivo non è allora semplificare la burocrazia,
ma ridurre gli enti, cioè riformare lo Stato, ridurne la frammentazione
crescente e il peso soffocante.Accorpare non significa licenziare, ma
cominciare a ridurre i troppi enti intermedi tra comune e regione.
In Europa il numero dei comuni è stato ridotto. Si può cominciare a normare ed
incentivare meglio la rete dell’associazionismo? Intanto se ne sono viste e
sentite di tutti i colori, si è finanche agitata demagogicamente la
partecipazione all’EXPO 2015, che si sostituirebbe ad un urgente ed
imprescindibile progetto di comunicazione, correlato alla ricerca di
mercati-obiettivo, dei loro specifici segmenti più profittevoli. Si vola alto,
molto alto, per rinunciare ovviamente a trovare luoghi, tempi e modalità
per riformare lo Stato, progettare seriamente, rendere il sistema misurabile,
verificare e migliorare risultati. Meglio che tutto si perda nelle
nebbie. Ma è altra cosa che progettare futuro secondo una credibile e
praticabile azione riformatrice. Il mercato globale richiede intelligenza,
nuove tecnologie, massa critica aziendale, stato efficiente, efficace politica
ecosostenibile, capacità di ridurre i costi e aumentare il valore dei prodotti.
Giuseppe Cilento
Dagli appunti di “Viaggio nel Mezzogiorno” di Giuseppe
Ungaretti, 5 maggio 1932:
“Torniamo sui nostri passi, arriviamo a Pioppi
(frazione di Pollica) e, vista una paranza a motore in secco, domandiamo se
vogliono noleggiarcela fino a Palinuro. Il proprietario, signor Pinto, la fa
subito mettere gratuitamente a nostra disposizione, e vuole anche si accetti in
casa sua una tazza di caffè. Non sono particolari insignificanti, e non sono i
soli che m’hanno dimostrato la cordialità della gente di queste parti. Ho fatto
quest’esperienza, anche avvicinando persone di umili condizioni: non entrano
nei fatti vostri; vi rivolgono di rado la parola, ma non perché timidi o privi
d’eloquenza, ma perché assenti in propri pensieri. Ma basta che esprimiate un
desiderio, ed eccoli farsi a pezzi per accontentarvi: lo fanno per inclinazione
a farsi benvolere, e mi pare ormai civiltà assai rara. Terra ospitale, terra
d’asilo!”
3 commenti:
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