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sabato 25 ottobre 2014

Crowdfunding: se l'idea piace, la finanzia la Rete. Info e best practice

Investireste in un’impresa che vuole clonare vermi? C’è chi lo fa, negli Stati Uniti. Sul progetto Openworm, che intende creare la copia digitale di un microrganismo noto alla scienza per essere un “libro aperto”, sono “piovuti” 121mila dollari da Internet. 
Si chiama crowdfunding, letteralmente significa “finanziamento della folla” e non è altro che l’adattamento contemporaneo della colletta, fatta attraverso alcune piattaforme dove vengono presentati i progetti, i prodotti o le idee per cui si chiedono i soldi. 
L’unico limite è la fantasia e la credibilità per avvicinarsi a questo mercato alternativo dei capitali che l’anno scorso a livello globale ha movimentato 5 miliardi di dollari. Openworm è stato lanciato sull’americana Kickstarter, la più importante e famosa piattaforma di crowdfunding del mondo. 

La stessa utilizzata dalla rock star Neil Young per produrre l’anti iPod di qualità (in maggio ha raccolto 6,2 milioni di dollari!) ma anche dai frati francescani per restaurare la casa romana del Santo (hanno raccolto molto più del richiesto: 130mila dollari) o da Cubit, un’azienda del Polo tecnologico di Navacchio, Pisa, per lanciare Pickparking, un’app per condividere i parcheggi. Il crowdfunding è esploso anche in Italia. Nel 2015 saranno 10 anni dalle prime esperienze, ma il boom c’è stato nel corso dell’ultimo anno: circa 30milioni di euro raccolti, 7 solo dallo scorso ottobre secondo le rilevazioni dell’Italian Crowdfunding Network che scatta questa fotografia del fenomeno: 54 piattaforme, di cui poco più di 40 attive; 50mila progetti presentati; circa un terzo pubblicati; poco più del 30% finanziati.

La maggior parte delle piattaforme sono “reward based”, prevedono cioè un "premio", una ricompensa, più o meno grande, per chi dà credito (t-shirt, portachiavi, tazze nel "progetto San Francesco"). Le altre invece solo donazioni (donation based), prestiti (lending based) o quote del capitale della società (equity based). In quest’ultimo caso si diventa soci dell’impresa e l’Italia è l’unico Paese in Europa ad aver stabilito delle regole che sono abbastanza stringenti se si investono più di 500 euro.

Il crowdfunding sta cambiando profondamente il modo di reperire risorse soprattutto nel settore dell’imprenditoria sociale e culturale. Ogni anno ci sono circa 10milioni di euro che passano direttamente dalle tasche di piccoli investitori ad associazioni, nuove imprese (startup) e piccole aziende. Un’alternativa sotteranea ma interessante, soprattutto a livello locale, al sempre difficile credito bancario. Anche l’Unione Europea ha appena acceso i riflettori su questa frontiera, creando un gruppo di lavoro dedicato per studiare come sviluppare il finanziamento diffuso senza dimenticare la tutela degli investitori e la trasparenza del mercato.

Siamo solo agli inizi, comunque. E l’Italia non è messa poi tanto male. Non abbiamo ancora casi come quello del giornale on line olandese De Correspondent, che in meno di sue settimane ha raccolto 1,3 milioni di euro. Ma il Festival del Giornalismo di Perugia, che rischiava la chiusura, è stato salvato grazie a una piattaforma di crowdfunding dove in tre mesi quasi 749 sostenitori hanno messo a disposizione 115mila euro. Abbiamo poi due record, uno interno e uno da export.
La prima startup finanziata in Europa con l’equity crowdfunding è italiana, la veneta Diaman Tech, che fa software finanziario e ha ottenuto 160mila euro da 75 nuovi soci. Quella che invece ha ricevuto la somma più alta, 440mila sterline da 120 soci, sta a Londra. Ma si chiama Pizza Rossa ed è stata lanciata da un ingegnere sardo, Corrado Accardi, per far conoscere la pizza al taglio agli inglesi.

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