Destinatari del Progetto ELFI, Formazione e Lavoro per lo sviluppo locale sono disoccupati e inoccupati residenti in Campania . Vengono finanziati percorsi formativi e stage rivolti a giovani di età compresa tra 18 e 34 anni compiuti, diplomati o laureati, al fine di agevolarne l’inserimento lavorativo nelle filiere produttive della Campania.
L'obiettivo dell'azione risiede nel rafforzare l’inserimento e reinserimento lavorativo dei lavoratori adulti attraverso percorsi integrati ed incentivi.
I percorsi formativi si struttureranno in attività frontali in aula e stage di massimo 600 ore per 10 mesi. Potranno prenderne parte soggetti disoccupati ed inoccupati residenti in Campania, iscritti presso i Centri per l’Impiego territorialmente competente, di età compresa tra 18 e 34 anni compiuti, diplomati o laureati.
L’attivazione dei percorsi formativi presuppone, tuttavia, che imprese in forma singola od associata, in accordo con agenzie di formazione accreditate, presentino appositi piani formativi che verranno sostenuti con un contributo fino a 500.000 euro.
I piani formativi vanno orientati al miglioramento delle competenze di giovani e adulti per l’inserimento lavorativo migliorando la qualità dei sistemi produttivi e commerciali.
Possono proporre piani formativi solo le imprese campane che hanno programmato o stanno realizzando investimenti produttivi in grado di incrementare l’occupazione.
Imprese in partenariato con le agenzia di formazione possono presentare le proposte di piano formativo a partire dal 4 febbraio fino alle ore 13.00 del 6 marzo 2013.
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martedì 29 gennaio 2013
domenica 27 gennaio 2013
Fondi Europei 2014 – 2020: strumenti, impegni, opportunità.
ANCI Campania in collaborazione con l'Ordine degli Architetti
della Provincia di Salerno organizza il workshop "Gli Enti Locali nella
programmazione dei Fondi Europei 2014 – 2020: strumenti, impegni,
opportunità".
Sede dell'Ordine degli Architetti -Via Giacinto Vicinanza 11 –
Salerno
1 Febbraio
2013 - h 16,30
Il workshop, intende affrontare la complessità delle tematiche
previste nella nuova programmazione 2014 – 2020 e avviare il necessario
confronto tra i diversi livelli istituzionali, partendo dalle realtà
territoriali e presentando le novità relative ai nuovi strumenti finanziari e
gli impegni e le opportunità che la nuova programmazione richiede e offre alle
comunità locali.
Programma
Ore 16.30 Saluti istituzionali
Maria Gabriella ALFANO - Presidente dell’Ordine degli
Architetti della Provincia di Salerno
Antonio Lombardi - Presidente ANCE Salerno
Ore 16.45 Introduzione ai lavori
Gaetano DI PALO – Anci Campania
Ore 17.00 La politica di coesione 2014- 20: strumenti ed
opportunità
Roberto FORMATO - Esperto in public management
Ora 17.30 Question time
Interviene Vincenzo
QUAGLIANO – Delegato ai rapporti con il territorio
giovedì 17 gennaio 2013
L'Italia perde la guerra delle idee; troppo pochi investono in start up
Il centro studi di Confcommercio dice che se si agisse come Francia e Germania il nostro Pil guadagnerebbe 29 miliardi l'anno con una crescita di giovani imprenditori del 20%. Invece restiamo indietro, nonostante il decreto sviluppo del ministro Passera. Parlare di start up oggi è di moda. Ma per capirci davvero qualcosa dovete essere pronti a conoscere un nuovo vocabolario. Che parla prevalentemente, con termini mutuati da una cultura anglosassone, di early stage, accelerator, incubator, hub, seed, grant, venture capital, angel, pitch, contest, community. Questo solo per rimanere a galla. Poi dovete aprirvi a un modello di business estraneo a quelli che avete sempre visto in giro, perché qui non conta chi conosci o chi ti presenta papà. Conta l'idea se è davvero innovativa e quanto potrà cambiare il mondo subito o tra pochi anni. Infine non dovete aver paura di raccontarla l'dea, siamo in un contesto open, fluido, orizzontale dove conta più la condivisione della competizione. Fatti vostri questi presupposti, benvenuti nel nuovo mondo.
Start up, termine che dice tutto o niente, indica tutte quelle "imprese baby", le new company, età media trent'anni o meno, costituite da uno o più soci ricercatori, amici, compagni di università che si affacciano con un'idea imprenditoriale alla tecnologia, ai media, ai social network, all'ingegneria biomedica, alla robotica, alla cultura del green tech, dell'entertainment e del videogame. Fuffa direte voi, e invece è il futuro. Lo ha capito anche il governo dei tecnici che con il Ministro Passera ha emanato il decreto della crescita 2.0, che appunto dovrebbe incentivare investimenti per la nascita di nuove start up, definite nel testo come "aziende che fanno innovazione tecnologiche con meno di 4 anni di vita e un fatturato sotto i 5 milioni di euro".
Perché aiutarle? Perché sono un volano per l'economia. Basta guardare a cosa è successo negli altri paesi. A cominciare dagli Usa dove negli ultimi 10 anni le nuove imprese con meno di 5 anni hanno creato 3 milioni di posti di lavoro, il Fondo Pensione dei dipendenti pubblici della California è uno tra i principali investitori in start up, e Obama ha emanato uno Start up Act per supportare business service pari a un miliardo di dollari per sostenere centomila nuove imprese nei prossimi 3 anni. O in Israele, modello internazionale, che nel 1993 ha lanciato il programma Yozma a favore delle start up, ed è diventato in pochi anni il Paese con il più alto numero di società quotate al Nasdaq e di brevetti pro capite high-tech nel settore medicale. Ma è sufficiente anche volgere lo sguardo alle sorelle europee, Germania e Inghilterra per vedere altri esempi virtuosi.
Quante sono le stat up in Italia? Le stime variano dalle 900 alle 4mila, perché fino a oggi sono sfuggite a una mappatura. Ma con la nuova normativa le Camere di Commercio si stanno attrezzando per censirle e servirle degli sgravi previsti dal decreto. Secondo l'Osservatorio Start up del Politecnico di Milano "investendo 300 milioni di euro nella fase embrionale delle start up, in 10 anni il prodotto interno lordo italiano potrebbe crescere di oltre 3 miliardi". Ma non solo. Il centro studi di Confcommercio dice che se l'Italia investisse come Francia e Germania il nostro Pil guadagnerebbe 29 miliardi l'anno con una crescita di giovani imprenditori del 20%.
E invece l'Italia che pure si sta muovendo, secondo dati dello scorso anno è ancora abbastanza in coda negli investimenti in nuove imprese. Impegna solo 1,2 euro pro capite contro i 10 euro di Germania e Francia e gli 83 degli Usa. Come dire che investe 1/7 rispetto alla Francia, 1/5 rispetto a Germania e Inghilterra e la metà rispetto a i paesi del Nord Europa. "Dal decreto sviluppo - spiega Alessia Muzio di AIFI, che raggruppa i principali investitori italiani istituzionali in capitale di rischio (Venture capitale e private equity) ci aspettavamo il Fondo dei Fondi, che avrebbe dovuto dare spinta al mercato, negli esempi di carattere internazionale aveva portato alla nascita di altri piccoli fondi che favorivano i nuovi operatori ma purtroppo la misura è stata stralciata". "Mancano start up o non sono quante potrebbero non perché mancano talenti, ma perché non ci sono abbastanza investimenti", dice Gianluca Dettori di dpixel, società di venture capital, "siamo in pieno fermento, ci sono 3,5 milioni di giovani disoccupati e altamente formati che sono un potenziale enorme perché per loro fare qualcosa da soli, avere l'dea e far nascere una start up può essere l'unica possibilità e infatti le belle idee non mancano. Però c'è scarsa sensibilità da parte della classe dirigente e non parlo solo dei politici, mi riferisco alle banche, alle fondazioni, alle società assicurative a chi ha capitali e invece di investire nei nuovi mondi del digitale e delle start up investe in derivati, ecco questo davvero mi frustra".
Siamo indietro ma gli investimenti a poco a poco si muovono. Secondo AIFI (Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital) che monitora semestralmente la situazione del capitale di rischio italiano, nel 2011 sono stati investiti 82 milioni di euro in 100 operazioni su 78 nuove imprese e nel primo semestre 2012 altri 67 milioni di euro con un trend positivo rispetto allo stesso periodo del 2011." A questi vanno ad aggiungersi nel 2011 altri 35 milioni di euro investiti in start up nelle prime fasi di sviluppo dai business angels, i cosiddetti investitori informali (che partecipano alle fasi iniziali delle start up con investimenti che vanno dai 100 ai 150 mila euro in media) e altri 21 milioni degli angels nei primi sei mesi del 2012. "Non è abbastanza, In questi anni si è fatto molto network sulle idee e per la loro realizzazione ma non c'è ancora sistema per la raccolta delle risorse", dice Claudio Giuliano, fondatore e amministratore di Innogest, tra maggiori fondi di VC in Italia, (fondo da 80 milioni di euro da investire in imprese italiane). "Oggi - continua Giuliano - il settore industriale è vecchio e maturo se il pubblico non investirà per creare nuovi fondi di VC o per incentivare gli investimenti privati perdiamo il treno con il futuro, con le nuove imprese che parlano di digitale, medical engineering, tecnologia e Il rischio è di continuare ad investire in un'ossatura industriale vecchia e costosa non più adeguata ai tempi e alla velocità del presente."
Mario Raffa /Gianluca Dettori
Start up, termine che dice tutto o niente, indica tutte quelle "imprese baby", le new company, età media trent'anni o meno, costituite da uno o più soci ricercatori, amici, compagni di università che si affacciano con un'idea imprenditoriale alla tecnologia, ai media, ai social network, all'ingegneria biomedica, alla robotica, alla cultura del green tech, dell'entertainment e del videogame. Fuffa direte voi, e invece è il futuro. Lo ha capito anche il governo dei tecnici che con il Ministro Passera ha emanato il decreto della crescita 2.0, che appunto dovrebbe incentivare investimenti per la nascita di nuove start up, definite nel testo come "aziende che fanno innovazione tecnologiche con meno di 4 anni di vita e un fatturato sotto i 5 milioni di euro".
Perché aiutarle? Perché sono un volano per l'economia. Basta guardare a cosa è successo negli altri paesi. A cominciare dagli Usa dove negli ultimi 10 anni le nuove imprese con meno di 5 anni hanno creato 3 milioni di posti di lavoro, il Fondo Pensione dei dipendenti pubblici della California è uno tra i principali investitori in start up, e Obama ha emanato uno Start up Act per supportare business service pari a un miliardo di dollari per sostenere centomila nuove imprese nei prossimi 3 anni. O in Israele, modello internazionale, che nel 1993 ha lanciato il programma Yozma a favore delle start up, ed è diventato in pochi anni il Paese con il più alto numero di società quotate al Nasdaq e di brevetti pro capite high-tech nel settore medicale. Ma è sufficiente anche volgere lo sguardo alle sorelle europee, Germania e Inghilterra per vedere altri esempi virtuosi.
Quante sono le stat up in Italia? Le stime variano dalle 900 alle 4mila, perché fino a oggi sono sfuggite a una mappatura. Ma con la nuova normativa le Camere di Commercio si stanno attrezzando per censirle e servirle degli sgravi previsti dal decreto. Secondo l'Osservatorio Start up del Politecnico di Milano "investendo 300 milioni di euro nella fase embrionale delle start up, in 10 anni il prodotto interno lordo italiano potrebbe crescere di oltre 3 miliardi". Ma non solo. Il centro studi di Confcommercio dice che se l'Italia investisse come Francia e Germania il nostro Pil guadagnerebbe 29 miliardi l'anno con una crescita di giovani imprenditori del 20%.
E invece l'Italia che pure si sta muovendo, secondo dati dello scorso anno è ancora abbastanza in coda negli investimenti in nuove imprese. Impegna solo 1,2 euro pro capite contro i 10 euro di Germania e Francia e gli 83 degli Usa. Come dire che investe 1/7 rispetto alla Francia, 1/5 rispetto a Germania e Inghilterra e la metà rispetto a i paesi del Nord Europa. "Dal decreto sviluppo - spiega Alessia Muzio di AIFI, che raggruppa i principali investitori italiani istituzionali in capitale di rischio (Venture capitale e private equity) ci aspettavamo il Fondo dei Fondi, che avrebbe dovuto dare spinta al mercato, negli esempi di carattere internazionale aveva portato alla nascita di altri piccoli fondi che favorivano i nuovi operatori ma purtroppo la misura è stata stralciata". "Mancano start up o non sono quante potrebbero non perché mancano talenti, ma perché non ci sono abbastanza investimenti", dice Gianluca Dettori di dpixel, società di venture capital, "siamo in pieno fermento, ci sono 3,5 milioni di giovani disoccupati e altamente formati che sono un potenziale enorme perché per loro fare qualcosa da soli, avere l'dea e far nascere una start up può essere l'unica possibilità e infatti le belle idee non mancano. Però c'è scarsa sensibilità da parte della classe dirigente e non parlo solo dei politici, mi riferisco alle banche, alle fondazioni, alle società assicurative a chi ha capitali e invece di investire nei nuovi mondi del digitale e delle start up investe in derivati, ecco questo davvero mi frustra".
Siamo indietro ma gli investimenti a poco a poco si muovono. Secondo AIFI (Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital) che monitora semestralmente la situazione del capitale di rischio italiano, nel 2011 sono stati investiti 82 milioni di euro in 100 operazioni su 78 nuove imprese e nel primo semestre 2012 altri 67 milioni di euro con un trend positivo rispetto allo stesso periodo del 2011." A questi vanno ad aggiungersi nel 2011 altri 35 milioni di euro investiti in start up nelle prime fasi di sviluppo dai business angels, i cosiddetti investitori informali (che partecipano alle fasi iniziali delle start up con investimenti che vanno dai 100 ai 150 mila euro in media) e altri 21 milioni degli angels nei primi sei mesi del 2012. "Non è abbastanza, In questi anni si è fatto molto network sulle idee e per la loro realizzazione ma non c'è ancora sistema per la raccolta delle risorse", dice Claudio Giuliano, fondatore e amministratore di Innogest, tra maggiori fondi di VC in Italia, (fondo da 80 milioni di euro da investire in imprese italiane). "Oggi - continua Giuliano - il settore industriale è vecchio e maturo se il pubblico non investirà per creare nuovi fondi di VC o per incentivare gli investimenti privati perdiamo il treno con il futuro, con le nuove imprese che parlano di digitale, medical engineering, tecnologia e Il rischio è di continuare ad investire in un'ossatura industriale vecchia e costosa non più adeguata ai tempi e alla velocità del presente."
Mario Raffa /Gianluca Dettori
domenica 6 gennaio 2013
PROGETTO MAIEUTICA
Il progetto MAIEUTICA a titolarità del Comune di
Battipaglia è cofinanziato nell’ambito dell’accordo fra la Presidenza del
Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Gioventù – e l’ANCI mediante il “Fondo
per le politiche giovanili Anno 2010” .
Il progetto favorisce la nascita e lo sviluppo di nuove attività promosse
da giovani nella filiera culturale e artistica attraverso azioni di
orientamento, formazione, assistenza e consulenza.
AMBITI DI INTERVENTO:
1.
WORKSHOP: nr. 4 incontri per dibattere sulle tematiche di progetto
2.
Ricerca e audit territoriale
3.
Laboratorio Maieutica
4.
FORMAZIONE
5. Sviluppo dell’imprenditorialità
6.
Attivazione di forme di sostegno
7.
Realizzazione di evento – promozione
progetto
Il progetto
consentirà di formare 30 giovani
con una propria idea di attività nell’ambito della filiera culturale e
artistica che comporterà la redazione di almeno 10 piani di impresa,
associazioni, cooperative ed altre forme aggregative.
Il “Laboratorio Maieutica” diverrà un riferimento istituzionale
permanente per l’erogazione di formazione, orientamento, assistenza e
consulenza rivolta alle nuove generazioni per valorizzare nuovi bacini
economici ed occupazionali locali.
PARTNER
1.
Osservatorio
Comunicazione Partecipazione Culture Giovanili (OCPG), dipartimento di scienze
politiche sociali e della comunicazione - Università di Fisciano.
2. Forum dei
giovani – Comune di Battipaglia.
3. Unimpresa
giovani imprenditori – Associazione.
4. Università Popolare Magna Graecia Thiasos
5.
Formazione e società
– Società cooperativa socialmente mista
di servizio e produzione e lavoro a mutualità prevalente.
6.
CSM Service – società cooperativa sociale a
mutualità prevalente.
7.
Associazione Gusto
del Gusto – Associazione Onlus.
8.
Unimpresa Piana del
Sele.
9.
QS & Partners
di V. Quagliano & C. S.n.c.
10.
FP- Press – ditta individuale.
Sede del Laboratorio Maieutica : c/o Informagiovani Comune di
Battipaglia
Apertura: Martedì e Mercoledì dalle ore 15:00 alle 18:00
Per info:
venerdì 4 gennaio 2013
Gli italiani “consapevoli” alle urne sceglierebbero la green economy.
«La green economy è una rivoluzione silenziosa, che sta producendo un cambiamento culturale in cui responsabilità e prosperità sono aspetti chiave non più disgiungibili». Il sociologo e sondaggista Renato Mannheimer, alla guida dell'Ispo - Istituto per gli studi sulla pubblica opinione, ha commentato così i risultati del sondaggio recentemente commissionato da VedoGreen (società appartenente al Gruppo IR Top, nasce nel 2011 dall'ideazione del primo Osservatorio italiano sulla green economy nel mercato dei capitali) in occasione della seconda edizione di "Green Economy on capital markets".
All'interno dello studio, che analizza i risultati economico di un campione di 113 società "green" quotate sui principali listini europei (di cui 13 società quotate su Borsa Italiana), sono infatti presenti i risultati di un sondaggio condotto dall'Ispo tramite interviste telefoniche «su un ampio campione di 801 individui», volto a scoprire la percezione della green economy nel pubblico italiano.
Nonostante i traguardi conquistati, sul lato della conoscenza pubblica l'economia verde mostra ancora importanti lacune. Parlando di green economy, alla domanda «quanto si ritiene informato?», la maggioranza (56%) degli intervistati risponde negativamente. Si ritiene «abbastanza informato» il 38% del campione, mentre «molto informato» soltanto il 5%: sono i laureati e i dirigenti coloro che si sentono più ferrati sul tema, mentre chi è disoccupato o in cerca di lavoro (ma anche la fascia dei 18-34enni o chi ha un basso titolo di studio) resta indietro. Una suddivisione che non stupisce per quanto riguarda il livello di studio, ma preoccupa per quanto riguarda il deficit che coinvolge i giovani e coloro che un lavoro potrebbero trovarlo proprio all'interno di un'economia ecologicamente e socialmente compatibile.
Sono numeri che evidenziano una volta di più la necessità di comunicare efficacemente e pervasivamente il messaggio dell'economia ecologica. Se una parte rilevante della politica italiana ritiene davvero - come sembra fare, almeno a parole - importante portare avanti la linea della sostenibilità, questo non è un punto da poter continuare a trascurare.
Ma la vera sorpresa arriva all'interno del focus dedicato dal sondaggio alle scelte politiche in vista delle imminenti elezioni politiche, il 24 e 25 febbraio. Degli 801 intervistati (che per il 61% si dichiara di sinistra/centrosinistra) il 42% ritiene che «l'impegno concreto dei principali schieramenti politici sulle tematiche della green economy» influenzerà la propria scelta di voto alle urne. Praticamente, si tratta di un plebiscito: soltanto un esile 2% separa coloro che si dichiarano informati sulla green economy (il 44%) e coloro il cui voto sarà un voto verde.
Sfiora inoltre i 3/4 del totale la percentuale (72%) di chi crede che «l'azione di governo nei confronti della green economy» offra «grandi opportunità per il Paese e il governo dovrebbe incentivarne lo sviluppo anche attraverso incentivi economici diretti».
Luca Aterini.
Questi dati integrano e vanno oltre la manifestazioni d'intenti contenute nell'agenda montiana (dove c'è «molto pink e molto green», a detta dello stesso premier) o anche nella Carta d'intenti del Pd, con la sua «politica industriale integralmente ecologica». Gli italiani che hanno la possibilità di avvicinarsi alla green economy (o, almeno, ritengono di averla) la ritengono un punto fermo. Chiedono un'economia più sostenibile, chiedono che sia il governo ad occuparsene. E sono disposti a votare i candidati che sono pronti a garantire questa linea: le forze politiche che concorrono alle elezioni sono disposte ad agire di conseguenza?
All'interno dello studio, che analizza i risultati economico di un campione di 113 società "green" quotate sui principali listini europei (di cui 13 società quotate su Borsa Italiana), sono infatti presenti i risultati di un sondaggio condotto dall'Ispo tramite interviste telefoniche «su un ampio campione di 801 individui», volto a scoprire la percezione della green economy nel pubblico italiano.
Nonostante i traguardi conquistati, sul lato della conoscenza pubblica l'economia verde mostra ancora importanti lacune. Parlando di green economy, alla domanda «quanto si ritiene informato?», la maggioranza (56%) degli intervistati risponde negativamente. Si ritiene «abbastanza informato» il 38% del campione, mentre «molto informato» soltanto il 5%: sono i laureati e i dirigenti coloro che si sentono più ferrati sul tema, mentre chi è disoccupato o in cerca di lavoro (ma anche la fascia dei 18-34enni o chi ha un basso titolo di studio) resta indietro. Una suddivisione che non stupisce per quanto riguarda il livello di studio, ma preoccupa per quanto riguarda il deficit che coinvolge i giovani e coloro che un lavoro potrebbero trovarlo proprio all'interno di un'economia ecologicamente e socialmente compatibile.
Sono numeri che evidenziano una volta di più la necessità di comunicare efficacemente e pervasivamente il messaggio dell'economia ecologica. Se una parte rilevante della politica italiana ritiene davvero - come sembra fare, almeno a parole - importante portare avanti la linea della sostenibilità, questo non è un punto da poter continuare a trascurare.
Ma la vera sorpresa arriva all'interno del focus dedicato dal sondaggio alle scelte politiche in vista delle imminenti elezioni politiche, il 24 e 25 febbraio. Degli 801 intervistati (che per il 61% si dichiara di sinistra/centrosinistra) il 42% ritiene che «l'impegno concreto dei principali schieramenti politici sulle tematiche della green economy» influenzerà la propria scelta di voto alle urne. Praticamente, si tratta di un plebiscito: soltanto un esile 2% separa coloro che si dichiarano informati sulla green economy (il 44%) e coloro il cui voto sarà un voto verde.
Sfiora inoltre i 3/4 del totale la percentuale (72%) di chi crede che «l'azione di governo nei confronti della green economy» offra «grandi opportunità per il Paese e il governo dovrebbe incentivarne lo sviluppo anche attraverso incentivi economici diretti».
Luca Aterini.
Questi dati integrano e vanno oltre la manifestazioni d'intenti contenute nell'agenda montiana (dove c'è «molto pink e molto green», a detta dello stesso premier) o anche nella Carta d'intenti del Pd, con la sua «politica industriale integralmente ecologica». Gli italiani che hanno la possibilità di avvicinarsi alla green economy (o, almeno, ritengono di averla) la ritengono un punto fermo. Chiedono un'economia più sostenibile, chiedono che sia il governo ad occuparsene. E sono disposti a votare i candidati che sono pronti a garantire questa linea: le forze politiche che concorrono alle elezioni sono disposte ad agire di conseguenza?
giovedì 3 gennaio 2013
Pontecagnano Faiano Citycamp Se fossi il sindaco, cosa Faresti?
C'è voluto un bel pò di tempo vista la grande partecipazione, non è stato facile analizzare e mettere insieme tutte le discussioni, ma finalmente ce l'abbiamo fatta.
Questo documento è una raccolta di tutte le idee venute fuori dal Citycamp.
Sono stati presi in esame tutti i post, i tweet, tutte le discussioni on-line e off-line e gli interventi dei relatori dell’evento .
Il documento è una semplice rappresentazione delle idee emerse dal progetto ed è totalmente user generated content ovvero è composto da tutti contenuti generati da persone che hanno partecipato alle discussioni.
Tutte le idee sono state accorpate e divise in macro aree: Giovani, Sviluppo Economico, Sport, Politiche Sociali, Cultura, Trasparenza e Partecipazione, Innovazione, Turismo ,Lavoro ed Ordinaria Amministrazione.
Pontecagnano Faiano Citycamp
Questo documento è una raccolta di tutte le idee venute fuori dal Citycamp.
Sono stati presi in esame tutti i post, i tweet, tutte le discussioni on-line e off-line e gli interventi dei relatori dell’evento .
Il documento è una semplice rappresentazione delle idee emerse dal progetto ed è totalmente user generated content ovvero è composto da tutti contenuti generati da persone che hanno partecipato alle discussioni.
Tutte le idee sono state accorpate e divise in macro aree: Giovani, Sviluppo Economico, Sport, Politiche Sociali, Cultura, Trasparenza e Partecipazione, Innovazione, Turismo ,Lavoro ed Ordinaria Amministrazione.
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